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La bestia che c’è in me

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Ansia, perfezionismo e mindfulness

Oggi la mia pratica di consapevolezza è dedicata all’interruzione.

 

Osservo quanto mi innervosisce interrompermi su qualcosa. Quando sono concentrata mi sento come quelle persone che non possono staccarsi dal piatto finché non l’ hanno finito, finché non hanno mangiato tutto quello che c’è dentro. Conoscete questa sensazione? Mi osservo senza giudizio e noto tutta l’angoscia che si muove all’idea di non terminare quella mail, quel messaggio, quella seduta nei migliori dei modi. Se qualcosa si frappone tra me e quell’obbiettivo il mio corpo si tende. Il collo si irrigidisce, le spalle si sollevano, il respiro si accorcia. Cosa sto tentando di curare con questa smania di perfezione? Eh, si, mi tocca. Per capirlo devo auto somministrarmi un po’ di veleno sostenibile ed osservarmi. Il maestro è in questo caso mio figlio che mi chiama in continuazione. Lui dice “mamma” ed io osservo che stringo i denti. Una parte di me vorrebbe sbranarlo. Provo una certa vergogna nell’osservare questo aspetto. Che in quel momento non è il mio adorato figlio, è una specie di ostacolo che si frappone tra me e quell’obbiettivo. E’ questione di vita o di morte. Il mio corpo è proteso, rispondo alle sue richieste, ma una parte di me non vorrebbe. Quella parte lì vorrebbe afferrare il compito interrotto e finirlo. Osservo il conflitto tra i miei due cervelli, quello evoluto che ama il figlio e quello arcaico che “spostati o ti ammazzo”. Faccio un lungo respiro. La parte giudicante di me dice: “sei un mostro”, una metà di me si vergogna, l’altra, quella primitiva, non ne è lontanamente scalfita.

Lei punta alla preda oppure alla salvezza, ancora non mi è chiaro. In mio aiuto arriva un’emozione. Questa perdita di controllo mi fa paura. Da fuori non si vede perché sembro la mamma gentile che risponde al figlio ma dentro io lo so sono una specie di rettile. Lo so perché il collo tira e mi fa malissimo. Sto contenendo una ferocia inaudita. Allora decido di concedermi una fantasia: anziché trattenere quest’energia, mi permetto di immaginare di lasciarla uscire. Immagino di sbranare chiunque si frapponga tra me e non so che cosa rappresenti quella mail. Osservo senza giudicarmi, con la curiosità di uno scienziato che guarda un fenomeno ed è curioso di vedere come finirà. Gli altri non esistono, esiste solo la preda. La mail diventa un topo succulento. Solo quando il serpente ha ingoiato tutto il topo si rilassa. Il serpente si raggomitola e cade in un sonno profondo. Mi dà l’idea di aver finalmente trovato la sua pace. Senza quella mail, io non posso aver pace. Senza terminare non posso rilassarmi e tornare nel presente. Non sembra aver senso quel serpente senza avere la pancia piena, non può sentirsi al sicuro se non si riempie. Un grande respiro sopraggiunge. Tutto questo ha a che fare con il mio senso di sicurezza? Mi chiedo dove ho imparato questa strategia di sopravvivenza così dispendiosa e certamente poco efficace, vista l’angoscia che mi muove. Piano, piano i muscoli si distendono alcuni ricordi cominciano ad emergere e con loro tutte le emozioni che erano rimaste congelate. Ora sono ritornata in me. Vieni qui tesoro, dimmi cosa c’è.

 

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