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Quando il silenzio dice più delle parole

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La comunicazione non verbale

Nel colloquio con i pazienti mi trovo spesso a vivere dei momenti dove non ci sono parole per esprimere le emozioni che il paziente sta vivendo in quel momento. In quei momenti di silenzio qualsiasi parola risulterebbe superflua nell’esprimere quel particolare stato d’animo. In quei momenti la presenza e la vicinanza del terapeuta possono rendere questa esperienza condivisibile ed elaborabile all’interno della relazione terapeutica.

Se penso ad Enrica una mia paziente la cui rabbia e il dolore per essere stata abusata fisicamente da piccola non trovavano parole per esprimere il suo malessere e la sua sofferenza. La sua sofferenza traspariva però dal suo corpo e dalle sue espressioni non verbali.

La mia vicinanza emotiva nell’ascoltare il suo dolore, nel permettergli di esprimere fisicamente la sua sofferenza senza sentirsi giudicata, hanno aiutato Enrica a rientrare in contatto e comunicare con quella bambina ferita. È attraverso un momento di intenso silenzio e compartecipazione che Enrica ha potuto esprimere e sentire nel corpo quel dolore da tempo trattenuto dentro di Sé.

Talvolta le parole possono allontanarci da un contatto più profondo con noi stessi che solo attraverso i vissuti corporei e le immagini possiamo elaborare e trasformare.

Mi viene in mente Giovanna una paziente intrappolata nella sua rigidità che dopo un lavoro corporeo volto a riattivare le sue energie immagina il suo petto come intrappolato in una gabbia. È nello stare in questa gabbia che Giovanna sente quanto si sente intrappolata nella vita. È proprio nell’essere consapevole delle sensazioni fisiche che questa gabbia gli suscita che Giovanna sente di poterne anche uscire.

Talvolta risulta difficile dare parole a delle sensazioni fisiche e solo l’esperienza di rimanere presenti a quello che sentiamo nel corpo, mettendo a tacere la mente critica, ci permette di entrare più in profondità nell’esperienza.

Questo è possibile quando il terapeuta è in grado di creare con il paziente quello spazio di silenzio fecondo dove poter elaborare i propri vissuti e le proprie sensazioni.

Talvolta il silenzio nel corso della seduta può essere vissuto con imbarazzo e vergogna come se dovessimo per forza dire qualcosa.

Mi viene in mente Maria una paziente di poche parole, dove le espressioni del suo volto e del suo sguardo dicevano molto di più di quello che avrebbe potuto raccontare su di sé. Il rimandare a Maria queste mie sensazioni la aiutarono a rendersi più consapevole di quello che comunicava a livello non verbale e ad entrare più in contatto con se stessa.

Creare uno spazi di silenzio e ascolto in terapia è fondamentale per aiutare il paziente ad entrare maggiormente in ascolto con se stesso.

Per questo motivo dopo aver fatto un lavoro bioenergetico chiedo sempre al paziente di porre l’attenzione al proprio respiro, cercando di rimanere presente in quello spazio di ascolto silenzioso del proprio corpo al di la di quello che può arrivare dalla mente.

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