GREEN PASS: ovvero LA MIA PRIMA VACANZA DA NUDISTA

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Questo è il mio anno zero. Zero come lo zero contenuto nel 50 dei miei anni. Non so bene se sono nel cosiddetto “mezzo del cammin”, però ho sentito forte la necessità di scendere nei miei gironi. Il percorso interiore che Dante descrive nella sua Divina Commedia è durato una settimana, il mio circa il doppio: tredici giorni. Tredici giorni da sola nelle Foreste Sacre del Casentino dormendo in macchina.

Ho sentito l’impellenza e l’attrazione al tempo stesso per una vacanza vera, nel senso di un tempo in cui fare-vuoto e non solo una sospensione dal lavoro, ma molto di più. Una sospensione da qualsiasi cosa che potesse rimandare ai miei ruoli abitudinali e che accendesse i miei automatismi di risposta caratteriale.

Volevo divertirmi nel senso originale del termine: divergere dalle mie abitudini, da me stessa. Una vacanza dalla mie identità di copertura, da chi “penso” di essere. Volevo essere nessuno (Vabbè nel mio viaggio ci ho messo qualcosa di omerico). Volevo vedere e soprattutto imparare qualcosa di nuovo su me stessa, ma anche questo, poi, è risultato essere un’aspettativa ed un ideale fuorviante.

Per fare questo serviva un ritiro dalle relazioni. Quindi, niente partecipazione a qualche ritiro di gruppo, niente partecipazione a qualche cammino organizzato, niente percorsi di tragitti conosciuti, tipo cammino di Santiago. E poi niente figli, niente amici, …insomma niente che fosse un richiamo a qualche tipologia di me. Niente appoggi relazionali, niente sicurezza. Tutto ridotto al minimo: una macchina in cui dormire, un tavolino, una sedia, libri, quaderno, penna, scarponi, sandali, tappettino per lo yoga, cibo pronto al consumo (ora ce ne sono di biologici che non necessitano nemmeno del frigorifero) il cuscino per la meditazione e un cellulare per le emergenze.

Le giornate erano semplici e ripetitive nella loro struttura: meditazione, pratica yoga, colazione, camminate nel bosco sino al tramonto – che è quando la luce filtra dagli alberi – cena, meditazione e nanna. Un po’ come nel film “Ricomincio da capo” ho ripetuto la stessa struttura giornaliera e proprio come il protagonista mi sono quasi sempre svegliata nello stesso pasticcio dei miei funzionamenti, che cercavo di non giudicare, ma semplicemente di osservare e accogliere.

Non c’era un posto preciso verso il quale andare o meglio quel posto ero io e la foresta così come la presenza piacevole delle persone nei campeggi spartani dove sono stata, hanno rappresentato il supporto esterno, lo spazio, la cornice che ha sostenuto il mio bisogno di silenzio. Io cercavo quello. Ed è stata la ricerca più difficile.

Perché la mente è sempre accesa. È incredibile quanto siamo dipendenti dai nostri pensieri e quanto questi non hanno quasi mai l’obiettivo di farci approdare ad un senso di quiete e di benessere ma bensì di alimentare un senso di insoddisfazione di fondo che finisce per alimentare emozioni distruttive, come la vergogna, l’invidia, la repulsione e soprattutto la Paura.

Scopo prevalente dei pensieri, infatti, è l’autocritica, anche se inizialmente non sembra perché appaiono più sotto forma di critica verso gli altri o di infinite analisi del passato e ipotesi sul futuro.

Pensavo di conoscere il mio torbido ma questa vacanza mi ha mostrato che ne avevo solo una blanda e vaga esperienza. Non avevo nessuno a cui attribuire il mio stato, nessun capro espiatorio: se mi svegliavo nell’ansia non potevo attribuirlo a qualcuno che non fossi io. Eccolo lì il mio inferno, le infinite abitudini mentali e comportamentali con cui mantengo viva e sterile la mia sofferenza, il mio disamore verso me stessa e la vita. Come trasformare tutto questo in qualcosa di utile, di trasformativo? Insomma, da che parte andare per trasformare la sofferenza in dolore evolutivo e trasformativo?

I libri sono stati i miei Virgilio. Nei momenti più duri arrivava una frase, puntuale a risolvere il nodo che mi si poneva dinnanzi e soprattutto a darmi sollievo dalla onnipresente ingiunzione interna: “sforzati, non stai facendo abbastanza”.

Eccone una tra le tante che mi davano direzione e sollievo, è di di Ezra Bayda: “Che la nostra vita sia quella del loto, a proprio agio in acque torbide. Ci inchiniamo alla vita così com’è”.

La Vita così com’è. Sembra un’affermazione ovvia, ma quanti di noi possono affermare di sapere qual è la realtà in cui vivono? L’oggetto della mia ricerca ed anche del mio ritiro era osservare il pensiero più ricorrente, quali le convinzioni a cui ero più attaccata.

Quando mi perdevo cercavo di tornare alla foresta e al cielo che per me rappresentano l’equanimità, ovvero a quella risorsa infinita e sempre presente che alimenta la nostra disponibilità a stare con qualsiasi cosa sia la nostra vita senza la necessità di giudicarla né tanto meno il bisogno di affannarsi a cambiarla.

Una delle cose più difficili è stato lasciar andare l’idea che dovessi correggere qualcosa. Perché questa idea non solo è una pura illusione, ma è una delle forme con cui continuiamo a cercare di avere il controllo, di affidarci alla natura della vita che è smisuratamente distante da ciò che “pensiamo” perché non è comprimibile in una forma o in una definizione.

La presenza dei faggi è stata fondamentale. La loro altezza era un continuo richiamo al mio essere piccola. La loro presenza un richiamo costante, gentile e benevolo all’imparare a reggermi in piedi da sola e a farmi bastare ciò che ero in quel momento a stare con il senso dell’incertezza e a respirarlo dentro lo spazio del cuore, a tenercelo lì, come un feto in utero che ancora non può nascere sotto forma di una consapevolezza, un insight o una chiarezza.

“Non cercare la verità, smetti solo di nutrire opinioni”, il famoso verso del maestro zen Seng Ts’an, era il mio mantra, la frase in cui mi rifugiavo soprattutto la sera quando insieme al buio la mente sferrava i suoi peggiori attacchi, come le Arpie nel racconto di Dante.

Ho scelto di uscire dalla mia comfort zone, dalla sicurezza che nasce dall’immagine che ho di me e che alimento nelle mie relazioni per dirigermi verso una connessione con qualcosa di più vasto che è la natura profonda che si cela in ogni essere umano.

Cosa mi è successo? Ovviamente di tutto, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Perché questo siamo, esseri in contraddizione eterna che si muovono continuamente tra i fondali e le vette del proprio essere.

Il mio tema è la fiducia, è la ricerca che abita tutta la mia vita, avendo avuto esperienze traumatiche già in principio, all’interno dell’utero materno. Ed è lì che il mio ritiro mi ha portata, a vedere ancora e ancora le diverse forme con cui mi tradisco per continuare a non fidarmi di me, oltre che degli altri, e a precludermi di accedere all’infinita abbondanza che è la vita.

Ad un certo punto, però, qualcosa ha ceduto e si è presentato un commuovente senso di leggerezza per cui mi accorgevo che pensavo di meno. Un giorno addirittura sono scoppiata a ridere quando ho pensato che mi ero dimenticata di pensare!

Evidentemente il semplice stare con il mio disagio emotivo mi aveva trasformata e qualcosa che prima non avveniva in me ora accadeva dandomi un senso di quiete e gioia.

Forse avevo smesso di aspettarmi di essere risolta oppure avevo semplicemente rinunciato all’idea che tutto debba essere sicuro e prevedibile perché io mi possa fidare. Me ne sono accorta quando ho smesso di chiudere la macchina a chiave, quando ho messo le zanzariere e l’ho lasciata aperta, accessibile, potenzialmente violabile. Un varco dentro il mio bisogno di protezione si era aperto ed io mi sentivo più leggera: semplicemente sentivo che non era più un problema, che non era più una necessità di vita o di morte, che potevo fidarmi e lasciare le portiere della macchina aperte e i finestrini giù. Qualcosa di banale per molti, ma per me no. Quando me ne sono accorta un pianto infinito è sgorgato ed io mi sono sentita più libera. Libera di non aver così tanta paura di lasciare entrare qualcuno in quello che in quel momento per me rappresentava l’unico rifugio, il mio posto sicuro, la mia cuccia.

Ho sentito che anche qualora qualcuno avesse violato e danneggiato il mio posto sicuro mi sarei perdonata: non mi sarei colpevolizzata. Le cose potevano fare il loro corso ed io potevo non essere più così eccessivamente responsabile, potevo non dover prevedere qualsiasi atto contro di me. Lasciavo agli altri la responsabilità di volermi nuocere e io non dovevo più cercare di impedirlo o anticiparlo.

In quel momento credo di aver incontrato una delle mie convinzione più profonde, quelle che ti salvano la vita da piccolo quando pensi che se le persone adulte che ami ti tradiscono e ti feriscono lo fanno certamente perché te lo sei in qualche modo meritato o cercato, non certo perché loro hanno fatto un errore.

In quel momento credo di essermi perdonata. Perdonata di non essere stata adulta quando in realtà ero piccola e che avevo tutto il diritto di essere piccola, bisognosa e dipendente cosa che per altro gli alberi mi hanno costantemente e ostinatamente ripetuto mentre camminavo: ciao Piccolina!

In quel momento mi sono ricordata che da piccola, nei momenti di solitudine e paura notturna, per calmarmi sognavo di avere un letto con ruote e cupola trasparente con cui addormentarmi al sicuro sotto la neve.

In quel momento ho scoperto che avevo realizzato il sogno della me bambina e che quell’immagine mi aveva ispirato nel dare forma alla mia vacanza. Ero in vacanza con la me piccolina e lei era lì e mi guardava piena di gioia e fiducia nei miei confronti perché si sentiva finalmente vista come qualcuno di buono, come una risorsa, qualcuno con cui era bello stare in vacanza, approvata e supportata.

In quel momento mi sono accorta che qualcosa di imperscrutabile dentro di me, quel qualcosa che forse possiamo chiamare Anima, aveva fatto il suo lavoro e aveva trovato la strada per rinunciare alle forme di controllo illusorie, agli ideali del “come vorresti che fosse”.

E soprattutto mi sono accorta che non dovevo aspettare che finisse il disagio per essere felice: le due cose potevano coesistere.

Io posso essere felice mentre sono a disagio è stata la mia più grande scoperta.

Questa scoperta mi ha donato attimi di profondo senso di libertà e credo di aver sperimentato qualcosa di nuovo verso me stessa. Credo fosse qualcosa che ha a che vedere l’amore.

Ma non ne sono sicura.

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