La perdita è un’esperienza che porta a una strada nuova. Perdere non è la fine di tutto ma la fine di un certo modo di pensare. Chi cade in un punto, in un altro si rialza. Questa è la legge della vita. (Mohames Mogtari)
Questo è stato per me, come per tanti, un periodo fertile per imparare a perdere.
Perdere non come opposto di vincere, ma come opposto di tenere e trattenere.
C’è stato un tempo per lo sgomento, il disorientamento di non sapere dov’ero.
Cosa stava succedendo al mondo e cosa rimbombava in me.
Chi ero senza più gli occhi che mi facevano sentire riconosciuta.
Ho trattato con la solitudine, l’ho assaggiata e assaporata e infine scelta con dolore e stupore, amandola più di una sorella, dormendo con lei, svegliandomi con lei, andando con lei nel bosco, con lei lavorando, scrivendo, leggendo. Mai sola, insieme a lei.
Sto guardando i miei pensieri cambiare, l’ansia diradare, così, senza oggetto com’è ora.
Il desiderio di stare nascosta. Il desiderio di condividere.
E l’intensità di incontrare qualcuno e toccarsi il cuore senza toccare il corpo.
Guardarsi negli occhi, sorridere, inchinarsi, tacere.
E dedicare pensieri a chi è in emergenza, scappato dalla guerra, dalla violenza, dalla fame, chi naviga e annega.
Come tenere tutti, tutti dentro, come farsi abbastanza ampi ed essere umani?
Come amare sapendo che la separazione ci aspetta?
Come essere pienamente e saper sparire?
Sono le leggi della vita, le sue imperscrutabili coreografie, danze per non vedenti, un soffio leggero ci sfiora la faccia e le mani e pur non vedendo sappiamo: la danza continua.
Chandra Livia Candiani
un libero estratto da “Questo Immenso non sapere”