Io viaggio da sola. Sul valore della solitudine

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VIAGGIARE DA SOLE NON DOVREBBE ESSERE CONSIDERATO QUALCOSA DI EROICO MA UNA NECESSITÀ FISIOLOGICA E DEL TUTTO NORMALE (ANCHE PER LE MAMME DI BAMBINI PICCOLI)

In questi giorni di cammino mi è stata fatta spesso la domanda “Are you alone?”, ed io provocatoriamente rispondevo ” No, I’m just by myself”.
È una sottile ma fondamentale differenza linguistica.

L’avevo già notato ma in questo viaggio mi è parso ancora più evidente l’elevato livello di condizionamento e giudizio inconsapevole verso chi viaggia senza essere in coppia o in gruppo, soprattutto se il soggetto è di genere femminile.
Nel chiedere “viaggi da sola?” o “sei da sola” o “mangi da sola” si passa un messaggio un po’ silente il cui sottotesto può addirittura arrivare come un “sei senza nessuno?”, “non hai trovato nessuno con cui stare?” che si può spingere, come mi hanno confermato molti pazienti al “sei così sfigata?”.
Così la mia risposta provocatoria voleva rimandare che la domanda, sebbene posta in totale buona fede, non era rispettosa. “I am by myself” voleva sottolineare che si trattava di una scelta, non una sfiga.
Tante donne mi hanno definita coraggiosa.
Da sola? vai da sola? ma con la guida o con un gruppo organizzato?
La cultura, soprattutto latina, che ci vuole sempre in compagnia di qualcuno e che ci passa l’idea fin da piccole che “è meglio mal accompagnate che sole” è all’origine di tanti percorsi di sofferenza che ci rende simbiotiche e dipendenti.
Quando mi sono accorta di quanto questa cultura del “sola=inpericolo=sfigata” ho iniziato a curarla dentro di me.
Mi sono accorta che non avendo avuto esempi di donne autonome e indipendenti intorno a me – se non da grande- non mi aveva creato il software, diciamo così, per pensarmi “by myself”.

La questione si è posta prestissimo nella mia vita: “cosa studi a fare che poi ti sposi”
Come unica laureata di tutta la mia famiglia allargata sia di padre che di madre, non solo non ho ricevuto appoggio al mio desiderio di conoscenza e crescita, ma addirittura ero giudicata vanitosa. E strana.
Oggi per fortuna sul lato studio non è più così, ma credo che siamo ancora lontani dal coltivare nelle nuove generazioni il valore di saper stare sulle proprie gambe in tutti i sensi.
Io ci ho messo più di cinquant’anni e conosco persone che nonostante il tanto lavoro di crescita personale non proveranno mai a viaggiare da sole.
Questo da’ la misura di quanto sia un implicito valoriale molto radicato nella nostra cultura, qualcosa sul quale non ci si interroga nemmeno.

La parola solitudine gode quasi sempre di un’associazione negativa e questo è pericoloso perché la nostra vita per quanto attraversata con accanto qualcuno è comunque un’esperienza che viviamo solo noi. È uno dei motivi per cui temiamo la malattia e la morte.
Quando ci ammaliamo ci sentiamo come sbalzati fuori dal mondo dei sani e non sappiamo da che parte iniziare a riprendere le fila del nostro percorso esistenziale.

Così l’espressione un po’ triste che abbiamo sul viso quando chiediamo a qualcuno “sei da solo” fa sentire strani, ammalati.
Evitando l’esperienza della solitudine rischiamo di non incontrare la persona più importante della nostra vita: noi stessi.
In fondo anche la psicoterapia soffre di questo condizionamento: “il terapeuta è con me per un’ora a settimana e poi? Poi sono da solo”, si lamenta un paziente dopo qualche colloquio.

In questo senso per accedere a questo percorso occorre saper tollerare questa condizione esistenziale ed essendo coltivata poco ecco che la capacità di stare soli, come scriveva Winnicott, un grande psicoanalista, diventa un obiettivo terapeutico e aggiungerei esistenziale come il buddismo ci insegna.

Nelle culture anglosassoni e del nord in genere è normale vedere una figlia andare a vivere da sola o partire per un viaggio.
Non dovrebbe risultare ” eroico” un viaggio in solitudine, bensì qualcosa di normale.
Piuttosto dovrebbe risultare strano il contrario e inserito nelle proprie autovalutazioni per capire a che punto siamo nel nostro percorso evolutivo.

#perunaculturadellasolitudine

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