Nella splendida illustrazione di Worry_Lines una persona si piega sempre più sotto il peso di nuove medaglie. La scritta recita: “Solo perché ti viene bene qualcosa non significa che quella cosa ti faccia bene”.
Il talento oggi è usato soprattutto come una gabbia funzionale alla società di mercato, che obbliga a capitalizzare il più possibile sulle proprie capacità, a prescindere dalla soddisfazione e dalla salute.
Gli idoli che vengono innalzati sono spesso quelli di persone che hanno sacrificato la propria vita al talento ottenendo in cambio, ben più che la fama (effimera) e le vittorie (mai abbastanza), disperazione, stress e solitudine. Continuiamo a credere che “vincere” sia più importante che star bene, e che ottenere qualcosa per sé sia più lodevole che costruire qualcosa con agli altri.
Nella nostra società i talenti hanno troppa centralità e spesso portano fuori dalla strada della vocazione, cioè della propria chiamata esistenziale.
Il talento viene considerato l’unico indicatore per giudicare il valore di un essere umano, e questo porta a sviluppare uno stato di ansia che diventa spesso la costante della propria vita, focalizzata sull’obbligo a performare: se hai un talento non puoi sotterrarlo, sei vincolato dalla società a trovare il modo per usarlo, altrimenti starai commettendo un peccato mortale: lo spreco di capitale.
I talenti, invece, possono essere coltivati e potenziati ma anche abbandonati e traditi; rimangono sempre degli strumenti, che quindi possono essere sia liberatori sia limitanti.
La vocazione, invece, rappresenta il sentirsi pesci nell’acqua, il percepire che nel momento presente sei nel posto giusto e stai facendo esattamente quello che vuoi fare in questa fase della tua vita. Essere sulla strada della tua vocazione ti dà un piacere che dipende da quello che stai facendo nel momento in cui lo stai facendo, e tutto il resto – successo, soldi, riconoscimenti – diventa superfluo, perché non ci sono traguardi da raggiungere e premi da ricevere. C’è solo il fatto, come ha scritto Walt Whitman, «che la vita esiste, e l’identità, e che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso».
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