Con gli occhi del paziente. La cura dello sguardo del terapeuta

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Guardate dal finestrino dellaltroCercate di vedere il mondo come lo vede il vostro paziente.” Irvin DYalom

Cosa ricordano i pazienti quando, dopo anni, ripensano alla loro esperienza terapeutica? Non gli insight, non le interpretazioni del terapeuta. Del loro terapeuta ricordano piuttosto le espressioni di sostegno positive.

In questo secondo incontro di Supervisione Clinica e Fioritura Personale siamo partiti dalla nostra esperienza soggettiva per esplorare il tipo di sostegno che abbiamo ricevuto nelle nostre diverse esperienze di vita per arrivare a riflettere sulla qualità del sostegno che offriamo ai nostri pazienti e ci siamo chiesti se poteva esserci margine di estensione.

Mantenendo il radicamento dentro l’esperienza, che per fissarla abbiamo descritto con dei disegni astratti, ci siamo immersi nella supervisione clinica.
L’immersione è intesa in senso letterale, in questo caso, perchè a turno siamo entrati in relazione con il collega “essendo” il nostro paziente con lo scopo di valutare come il paziente sperimenta la relazione con noi, come vede il mondo, che emozioni e sensazioni prova, che pensieri formula tra sè e sé e di che tipo di sostegno profondo e riparativo delle esperienze traumatiche precedenti ha bisogno.
La terapia viene potenziata se il terapeuta entra accuratamente nel mondo del paziente. Questa accuratezza è di per sè sufficiente perchè si crei un campo di comprensione profonda che abita come un clima la seduta: i pazienti traggono un enorme profitto semplicemente dall’esperienza di essere visti appieno e capiti sul serio.
Cinquant’anni fa Carl Rogers identificò l’empatia accurata come una delle tre caratteristiche essenziali di un terapeuta efficace ( insieme all’ accettazione positiva incondizionata e alla autenticità) e inaugurò il campo della ricerca in psicoterapia che alla fine raccolse notevoli prove a sostegno dell’efficacia dell’empatia.

Mentre l’uno agiva come se fosse il suo paziente, l’altro era il terapeuta esercitandosi ad essere in contatto con lui a partire da ciò che accadeva in quel preciso momento nella relazione La richiesta era di incontrare il paziente provando ad uscire dalla zona di confort e dandosi il permesso di sperimentare nuove forme di sostegno più spontanee e meno “tecniche” che prendessero ispirazione dal lavoro di consapevolezza precedente sulle esperienze personali di sostegno.

La discussione sul caso che è emersa in seguito a questa esperienza ha permesso da una parte di integrare il quadro diagnostico del paziente, e di conseguenza una maggiore comprensione del suo mondo emotivo e dei suoi bisogni inespressi, dall’altra di mettere in figura le “resistenze del terapeuta” e a guardare l’esperienza anche da un punto di vista delle limitazioni poste alla relazione dal nostro modo di essere, dai nostri riferimenti teorici e dal nostro carattere.
In questa danza dall’esperienza soggettiva del terapeuta a quella del paziente e di nuovo a quella del terapeuta, in questo movimento abbiamo potuto vivere in maniera sentita la profonda connessione umana che c’è tra ogni essere vivente e che si instaura come strumento potentissimo nella relazione terapeutica.
E contemporaneamente abbiamo potuto vedere quando l’idea della separatezza possa indurci a sentirci esclusi dal campo relazionale di cura e ad agire, di conseguenza, movimenti distanti e poco sintonizzati con il vissuto del paziente.
Nella parte finale abbiamo condiviso i doni, le consapevolezza e soprattutto la condizione dell’essere e di impoteramento a cui siamo approdati grazie a tutto il viaggio esplorativo.
In particolare ci siamo accorti che il senso di accettazione e accoglienza nei nostri confronti e del paziente di noi stessi era maggiore rispetto a qualche ora prima sentendo un senso più vibrante di speranza e possibilità per tutti.

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