La prima spiaggia. Terapia di coppia e mindfulness in relazione

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Capita spesso che una coppia arrivi al primo colloquio con un atteggiamento da “ultima spiaggia” prima di andare dall’avvocato.

La maggior parte delle volte un partner riesce a trascinare l’altro in seduta più per scelta di tipo strategico-politico per poter dire “ci abbiamo provato”, che per una reale convinzione sulla fattiva possibilità di cambiare la rotta apparentemente inesorabile della barca-coppia verso le rocce appuntite delle tante delusioni e incomprensioni reciproche.

Spesso riscontro proprio la fantasia di entrambi di sentirsi dire: “qui non c’è più niente da fare, più che una terapia per riprendere il viaggio posso offrirvi un accompagnamento alla morte della vostra relazione come un medico palliatore” per restare in una condizione di impotenza e delegittimazione reciproca.

Quando entrano è vedono il setting: due poltrone una rivolta verso l’altra, capiscono che l’invito a guardarsi e quindi incontrarsi è qualcosa di impossibile da declinare.

Chi ha esperienza di meditazione sa quanto sia profondamente differente una meditazione in presenza dell’altro da quella tradizionale, perché ad esempio il respiro quieto che raggiungiamo stando in ascolto di noi stessi, cambia quando apriamo gli occhi e ascoltiamo cosa succede dentro di noi quando allarghiamo il nostro campo all’altro seduto di fronte a noi.

Cosa c’entra la meditazione relazionale con il setting della terapia di coppia?

C’entra con la consapevolezza che la sofferenza interpersonale si origina dai rapporti con le altre persone.

Per capire cosa intendo basta pensare a chi siamo quando siamo da soli, e nessuno ci vede, e chi “diventiamo” quando siamo in presenza di qualcun altro.

La meditazione relazionale ci consente di esplorare chi siamo quando siamo in relazione con un altro in maniera fenomenologica e soprattutto di osservare COME RISPONDIAMO, che automatismi caratteriali scattano.

È molto diverso dal raccontarlo o ricostruirlo ad esempio come quando siamo in una seduta individuale di meditazione o di psicoterapia.

Quando si pratica la meditazione relazionale si formano spesso delle triadi in cui a turno ci si siede nel posto dell’osservatore che è la posizione che occupo quando sono la terapeuta ma che a terapia avviata anche i miei pazienti iniziano ad assumere.

Quando introduco questo concetto alle coppie, spiego loro che ciò che offro è una sorta di indagine scientifica in cui comprendere qual’è il contributo di ognuno a creare un campo relazionale a cui ognuno reagisce inconsapevolmente in base alle esperienze infantili indigerite che oggi contaminano la loro possibilità di scelta nonchè libertà di amare.

In altre parole, faccio loro capire che entrambi sono vittime di qualcosa che finora non hanno visto, cioè il loro rapporto.

È chiaro che spostare l’attenzione dall’essere vittime dell’altro all’essere vittime del proprio rapporto fa cambiare completamente la visione della questione.

Spesso uso metafore in cui associo il loro rapporto ad una barca a vela e affermo: siete qui perché non avete fatto il corso base o sbaglio?

Questa battuta di solito scioglie gli animi in una risata che rilassa perché capiscono che non solo non sono un giudice, ma che il mio ruolo consiste nel rendersi conto che senza “corso base” era ovvio che la navigazione fosse quanto meno frustrante e pericolosa (visto che magari a bordo ci sono anche dei figli) e che non c’è nulla di cui vergognarsi o colpevolizzarsi perché è un fatto fisiologico oltre che umano.

Respiro di sollievo!

L’idea del corso consente in maniera leggera di testare l’intento di fondo di entrambi: nella prospettiva di apprendere le tecniche di navigazione e di rendere più solida la vostra barca, sentite di voler continuare questo viaggio?

Posti uno di fronte all’altro chiedo di avere un contatto oculare e di restare nel silenzio per qualche minuto.

L’idea del viaggio fa spesso ricontattare il desiderio iniziale, quello per cui si sono innamorati e questo cambia completamente l’energia con la quale sono arrivati e si traduce in eccitazione e motivazione a rimboccarsi le maniche o per lo meno a sentirsi incuriositi e disponibili a lasciar andare i pregiudizi iniziali.

Altre volte il contatto oculare fa sentire loro che nel profondo, al di là delle increspature superficiali dei mille conflitti, c’è tristezza perchè la decisione di non viaggiare più insieme è già stata presa. L’atmosfera diventa molto velocemente quella di un funerale.

Anche in questo caso, di fronte a questa verità che si può rivelare perchè sostenuta e contenuta dalla mia presenza in quanto testimone, l’energia cambia e per quanto paradossale l’atmosfera funebre invita a consolarsi.

Come nella meditazione relazionale, a turno ogni partner viene invitato a dire all’altro cosa sta succedendo dentro di sé – e non cosa sta pensando – mentre l’altro sta in religioso ascolto senza intervenire.

Penserete che è impossibile farlo quando le coppie sono estremamente conflittuali e interessate a portare avanti la loro lotta anche nello studio immaginando nel terapeuta una sorta di arbitro.

Ma di solito quando li interrompo chiarendo che io di sport non ci capisco niente e che mi appello alle loro parti adulte per tenere a bada i loro bambini interiori facendo lo sforzo di non sprecare quest’ultima spaggia, mi danno retta.

Sia che le coppie desiderino continuare a viaggiare insieme sia che non lo desiderino più, il fatto di aver trovato una verità comune crea radicamento. Terra!

A quel punto faccio notare che al di là della volontà di stare insieme oppure no, c’è una quantità elevata di sofferenza e che comprenderne le cause permetterà ai primi di riprendere il viaggio e ai secondi di mettere le basi per una conclusione responsabile della loro relazione di coppia che permetta di non trasferire le questioni irrisolte nella prossima relazione e contemporaneamente, se hanno figli, di poter continuare ad essere una coppia genitoriale.

Fare in modo che la sofferenza non abbia la meglio è un atto d’amore e di rispetto verso noi stessi prima ancora che verso il nostro partner: quale importante occasione si nasconde in questa crisi per esplorare la paura che mi ha condizionato ed impedito di amare e farmi amare finora?

È un obiettivo fondamentale della terapia far si che i partner si sentano responsabili della sofferenza che vivono: accorgersi del fatto che le ferite che si sono procurati sono sì il frutto di una bassa conoscenza di loro stessi in primis e dell’altro, ma anche un tentativo inconsapevole di curarle attraverso il loro incontro fa spesso emergere un grande sentimento di gratitudine.

In quella che si pensava essere” l’ultima spiaggia”, ci si mette comodi e si ordina un cocktail: “insomma, ci sta dicendo che abbiamo lavorato per trovarci qui perché dovevamo affrontare questioni irrisolte molto antiche che ci hanno condizionato?”, riformula Gianni alla conclusione della nostra prima seduta. “proprio cosi”, rispondo. “allora questa non è l’ultima spiaggia. Ma la prima che incrociamo dopo essere stati troppo a lungo dispersi in mare aperto” conclude incrociando gli occhi della partner visibilmente commossa.

Il respiro di sollievo al termine fa sentire un clima di sicurezza. Che sia un salvagente o un rimorchiatore a tirarci in salvo, sentirsi più al sicuro è la prima regola di una sana navigazione sia che si continui insieme o da soli.

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