Uscire dalle sabbie mobili - Divenire Magazine

Uscire dalle sabbie mobili

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Coloro a cui non è stato permesso di rendersi conto di cosa è stato fatto loro.
Non hanno altro modo di parlarne se non ripetendolo.

 

Alice Miller

 

Sul pensiero eccessivo e l’immobilismo.

“Questa settimana sono più giù di morale del solito. Mi sento da schifo. Guardo alla mia vita e penso che non ho fatto niente di buono. A parte aver fatto mio figlio, non saprei identificare niente di buono in me. Mi sento una totale fallita. E poi mi vergogno tantissimo, perché non avrei nessun motivo reale per sentirmi così: ho una buona salute, non ho problemi economici. Eppure mi rendo conto di essere non solo infelice ma costantemente incazzata. Mi guardo intorno e vedo che tutti stanno bene. Si hanno i problemi normali che hanno tutti, ma a me sembra che li sappiano affrontare e che si sentano utili e di valore. Io, invece, mi sento persino incapace di fare una telefonata all’amministratore di casa. Ci ho messo settimane per decidermi di farla. Mi preparavo il discorso. L’ho persino scritto su un foglio ma quando era il momento di brandire il telefono, mi bloccavo. Alla fine ho fatto telefonare a mio figlio che ha diciannove anni. Capisce dottoressa a che punto sono arrivata? Non sono nemmeno capace di fare una semplice telefonata. Allora passo le mie ore a macerarmi nei pensieri. Vedo un futuro nero in cui non farò altro che vergognarmi di come sono. Un’inetta totale, ecco cosa sono, una merda fatta persona”.

Gianna è una persona con un passato molto pesante: ha potuto approdare ad una situazione relativamente stabile solo con il matrimonio. Figlia di una ragazza-madre tossicodipendente, ha cambiato numerose famiglie affidatarie e diverse comunità. E’ legittimo e comprensibile che Gianna non abbia fatto quel percorso di amore incondizionato che è alla base di una buona autostima. Nei momenti in cui è particolarmente triste e buia, come questo, io sento un forte senso di impotenza e di immobilismo.

Il suo ruminare instancabilmente su qualsiasi cosa, anche su eventi di poca importanza, come il modo con cui il panettiere la saluta, la sua ipersensibilità agli umori degli altri, mi appaiono come sabbie mobile dentro le quali la vedo muoversi inutilmente.

A poco servono le rassicurazioni o i rispecchiamenti valorizzanti del gruppo : “ non è vero che non vali niente, ti sei occupata di me quando sono stata male. Venivi a prendermi con la macchina e mi portavi al gruppo. Mi fa male vedere la durezza con cui parli di te stessa. A volte mi sembra che ti autobullizzi”, commenta Caterina, durante un incontro.

I pensieri continui di Gianna sembrano avere diversi effetti negativi. Innanzitutto amplificano, come un agente lievitante, la realtà negativa di Gianna. Proprio come la pasta del pane aumenta di volume man mano la si lavora, così i pensieri negativi di Gianna si espandono e crescono fino ad occupare tutta l’energia disponibile. Il risultato è che Gianna soffre di fortissime tensioni muscolari al collo, alle spalle e alla schiena, oltre che di emicranie e di ansia, che in passato sfociava in veri e propri attacchi di panico.

Esistono varie tipologie di ruminazione. Il Pensiero di Gianna è prevalentemente impegnato nell’alimentare il risentimento per un torto che ritiene di aver subito. Fonti inesauribili di torti si trovano nel suo passato ovviamente, a partire dalla madre e a scendere nei confronti di tutte le figure adulte che l’hanno delusa.

Oggi, invece, Gianna si presenta attraverso un’altra forma di ruminazione, quella che riguarda tutte le possibili cause del proprio star male.

Le volte in cui qualcuno ha raccontato a Gianna, me compresa, del suo senso di impotenza e di quanto si sentisse dispiaciuto nel vederla incapace di imboccare una qualsiasi strada nella sua vita, Gianna ha vissuto questi feedback come prove definitive del suo fallimento, anziché come segnali di vicinanza empatica e di importanza per gli altri: “ecco, vedete, faccio pena anche a voi. Mi dite queste cose, ma io non ci credo. Le dite solo perché vi faccio pena”.

Sembra un gioco al massacro, che finisce per alimentare quell’irritazione che fa trionfare Gianna nel dire: “ vedete, anche voi infondo , siete come mia madre e tutte le altre. Non c’è niente da fare io alle persone non piaccio”.

C’è un sabotatore, una specie di omicida seriale di qualsiasi forma di speranza. Alcuni autori di matrice psicoanalitica hanno ipotizzato che in questi casi la persona è terrorizzata dalla speranza. In altre parole coloro i quali hanno avuto numerosi traumi nella loro infanzia, e che si sono sentiti profondamente rifiutati, sono terrorizzati dalla possibilità di fidarsi di qualcuno perché ciò aprirebbe alla possibilità di essere nuovamente delusi e feriti.

“ Cara Gianna”, dico io, “sento di essere ad un bivio con te in questo momento. Se resto in silenzio e non commento ho la sensazione di avvallare l’idea negativa che hai di te e di abbandonarti. Se, invece, faccio alcune osservazioni, sento di trasformarmi in un persecutore, qualcuno che ti critica e ti svaluta. Sento che qualsiasi cosa io faccia per te, tu la rigetterai sistematicamente e mi sento molto frustrata dal non trovare una strada per raggiungerti”

“ecco, ci risiamo”, commenta Gianna con un’evidente smorfia di disgusto sul viso, “ sto deludendo anche te”

“Non intendevo dirti questo, ma non mi sorprende la tua reazione. Permettimi di finire ciò che ho da dirti. Ti va?”

“Si”, dice Lei con aria poco convinta e sospirando

“Volevo dirti che ho capito e ti rispetto”

“Hai capito e mi rispetti?”, dice lei sorpresa, “non capisco dove vuoi arrivare”

“Voglio dirti che il desiderio di connessione è il mio e che il fatto di pretendere che tu voglia fare la stessa cosa con me è un errore. Penso che tu abbia tutte le ragioni per proteggerti, soprattutto da me che ho assunto un peso rilevante nella tua vita. Sento che se ti rispetto, se accetto questo tuo modo di stare al mondo come il migliore che tu abbia trovato finora e che ti permette di vivere, mi sento meglio. Questo è il tuo modo e non il mio. So che ti posso stare accanto, fare qualche passo insieme se vorrai, ma che non sono costretta né a salvarti, né a sentirmi una tua vittima e nemmeno a perseguitarti con delle proposte che sistematicamente rifiuteresti. Insomma, ho capito, che per aiutarti a stare bene devo prendermi cura del mio di benessere. Che ne dici?”

Gianna mi guarda attonita. “dici sul serio?”, domanda Lei

“si, è quello che sento. Dirlo mi fa stare meglio. Sento che il mio respiro è più fluido”.

“non so cosa dire”, commenta Gianna, “mi sento spiazzata. E’ la prima volta che qualcuno mi parla in questo modo. Che parla di sé anziché di me. Mi sembri onesta. E questo mi fa piacere…..ma non farti troppo speranze!”, dice lei ridendo.

“Già!”, dico ridendo, “nemmeno tu però, mi raccomando!”

 

Un pensiero riguardo “Uscire dalle sabbie mobili

  1. Mi sento di essere proprio come questa gianna . Più la gente cerca di venirmi incontro più mi sento insicura e mi giudico. Ne consegue che non ho una vita sociale, sto abbandonando lentamente il lavoro che ho perché è come se mi sabotassi. Sono seguita da circa tre mesi da una psicologa ma forse la verità è che rifiuto l’aiuto degli altri, ho paura di guarire, di essere libera, di farmi una vita.

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