Destreggiarsi tra le culture familiari: la sfida eroica verso la propria unicità.

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Lo spunto per questo scritto mi arriva dalla psicologia transculturale. Tutto è cominciato con una battuta durante una formazione su questa branca della psicologia. Diversità, culture lontane, lingue diverse, integrazione.

Ad un certo punto mi è “scappato” un intervento divertito: “A volte anche alcuni miei amici, solo avendo genitori del sud Italia, mi sembra vengano da una cultura lontanissima”. Volendo essere precisi, anche alcuni con origini del tutto simili alle mie, a volte mi sembra vengano da un altro pianeta.

La battuta ha colto un punto importante per me. Ogni incontro di persone, ogni coppia, è un incontro di culture. Sono modi, riti, stili alimentari, stili comunicativi che si incontrano e, a volte, scontrano. Ognuno di noi è il prodotto di questo incontro, dentro ognuno di noi vivono e si confrontano culture diverse. Ogni psicoterapia è una terapia transculturale in un certo senso.

Su questo voglio soffermarmi, sul possibile conflitto interno che produce l’essere figli di due persone provenienti da culture familiari diverse, di due persone diverse per molti aspetti, comportamenti e valori.

Nelle nostre teste, permettetemi la semplificazione del termine, convivono messaggi genitoriali a volte contrastanti tra loro, che possono indirizzarci su scelte di vita potenzialmente in contraddizione e conflitto. Ognuno di noi può facilmente ricostruire quelle che sono state le indicazioni di massima che ci sono state date durante l’infanzia per essere considerati “ok”, bravi, capaci e amabili.

Ognuno dei nostri genitori può aver censurato e castrato oppure sponsorizzato e incentivato modalità di azione e di pensiero differenti.

Fare i genitori è molto difficile, ma perché lo è stato altrettanto essere figli. La difficoltà sta nel fatto che tutte le visioni sul mondo e sugli altri, tutte le dritte per cavarsela nella vita, i “giusto” e gli “sbagliato”, i “si fa” e i “guai a te” oltre ad arrivare da due persone diverse, devono amalgamarsi e fondersi con la propria personalità. Il fatto che i figli, sin da molto piccoli, abbiano caratteristiche personali e attitudini particolari diverse dalle proprie è un messaggio e un concetto non sempre facile da digerire da parte dei genitori.

Per chiarire meglio il mio pensiero ci vuole un esempio e ne ho uno adatto allo scopo. Matteo, iperattivo (sintomo notevolmente ridotto con lo sviluppo), con un padre pignolo e ossessivo e una madre distratta, con la “testa fra le nuvole”.

Matteo ha 14 anni, è un adolescente, sta costruendo faticosamente la sua identità. C’è grande confusione in lui rispetto al come pensa di dover diventare da adulto. Dovere purtroppo, non volere. Questo perché ognuno di noi vuole essere amato dai propri cari e sente quei messaggi di cui vi parlavo prima, come un invito a dover essere in un certo modo per essere amati e apprezzati. Dai genitori e, di conseguenza, dal mondo. Si tratta dell’idea che l’amore sia condizionato e strettamente legato ad un determinato modo di essere e agire.

L’iperattività e le conseguenze della stessa sul carattere di Matteo sono incomprensibili per il padre, che quindi le rifiute e le boccia. Anche la scuola, poi, ci ha messo del suo in questo.

Nella madre trova comprensione del suo essere distratto e poco concentrato. Ma la madre è anche molto tranquilla e un po’ pigra, non gli sta dietro, si stanca.

Il padre è ansioso un po’ come lui ma incanala la sua attivazione attraverso il controllo e la rigidità.

Matteo ha bisogno di capirsi e viene invece continuamente ripreso ed indirizzato. Dalla madre invitato a prendersela meno e a rilassarsi perché se no lei “non ce la fa”, dal padre ad essere più determinato e concentrato altrimenti “nella vita fallirà”. Una gran confusione insomma. In un modo o nell’altro si sente sbagliato, le sue energie vengono imbrigliate o svalutate. L’esempio e le indicazioni dei genitori si orientano su due stili di vita diametralmente opposti. La certezza è che il suo modo di essere, però, non vada bene.

Attualmente definirei Matteo come un “nerd sportivo”. Affascinato dalla scienza e dall’informatica, dalla precisione e dal rigore e attratto contemporaneamente all’attività sportiva e alla forma fisica. Questo apparente contrasto del “nerd sportivo”, che io trovo meraviglioso, per lui è fonte di confusione e difficoltà. Non si sente accettato e non sa verso quale gruppo di pari muoversi. Troppo attivo per i nerd, troppo nerd per gli sportivi. Questo secondo lui, perché in realtà è bloccato e non si sta sperimentando con l’altro. Tirato in due direzioni diverse in famiglia non sa in che modo trovare la propria.

La fissa per la forma fisica lo ha portato a degli eccessi nel controllo alimentare, in un tentativo di modificare in qualche modo il suo essere sbagliato. Modificandosi, modificando il corpo, verrà accettato e potrà finalmente rasserenarsi. Una volta sereno non sarà più fonte di stress per la madre e il padre vedrà un figlio di successo.

Accettarsi per come si è, nella propria totalità è un passaggio fondamentale per ogni essere umano. Sentirsi dire ”vai bene così come sei” dovrebbe essere un sacrosanto diritto di ogni bambino che viene al mondo ma, purtroppo, non sempre accade.

Da adolescenti e poi da adulti l’accettazione passa anche attraverso l’abbandono del concetto di giusto e sbagliato, dal tollerare di essere contraddittori perché siamo il prodotto di due mondi, che poi son due solo in apparenza, essendo a loro volta prodotto di altri quattro e così via a ritroso.

Le contraddizioni sono spesso solo apparenti e bollate come tali da pregiudizi. A mio parere la contraddizione non va combattuta, ma accompagnata a diventare qualcosa di potente e funzionale per il singolo.

Matteo in terapia dovrà scoprire che va bene così come è e andrà bene in qualsiasi modo deciderà di diventare. Scoprire che può giocare ai videogame, imparare a crearli, leggere di astronomia e contemporaneamente essere un appassionato di ciclismo e arti marziali. Il permesso di essere sé stessi, con le potenzialità e i limiti che ci caratterizzano. Dirsi che non esistono modalità giuste o sbagliate di essere o di fare se stiamo bene, ci sentiamo appagati e rispettiamo l’altro.

Il percorso dello sviluppo, la crescita, la ricerca di un nostro equilibrio personale ci rende tutti eroi, eroi dei due mondi, forse anche più di due…