Ho sempre pensato che il due di gennaio sia il giorno più sfigato dell’anno.
Arriva dopo che abbiamo festeggiato tutto il festeggiabile. Dopo il Natale, dopo Santo Stefano, dopo la tensione del “che cosa ti metti all’ultimo”, dopo l’Ultimo e dopo il Primo con il suo concerto.
Il due arriva la depressione. E’ stato già detto e fatto tutto. Il due è il giorno in cui si pulisce casa o si fanno le valige per tornare a casa. Il due è il giorno dell’imbarazzo, che se ti rivedo ho finito la lista degli auguri e non ho più niente da dirti.
Il due è il giorno della ripresa del lavoro per qualcuno, del ritorno alla realtà. Triste realtà per qualcuno, forse.
Il due ti ricorda che gennaio è un mese lunghissimo, ma che per fortuna c’è ancora il 6, che se dio vuole tutte le feste se le porta via.
Il due è un giorno di sollievo per chi è solo, che finalmente i negozi riaprono e pure la posta e la banca.
Il due è il giorno della finzione: per chi ha passato giornate di M durante il Natale ed il Capodanno, si può fingere che non ci siano mai stati quei giorni tremendi, perché la normalità torna.
Il due è il giorno del vero inizio. “E mò?” e quindi il giorno della confusione o della disperazione perché i problemi che abbiamo lasciato nell’anno precedente ci guardano in attesa di una soluzione magica. Che non abbiamo, ovviamente.
Io proclamerei il giorno due di gennaio, il giorno dell’Umano troppo Umano.
Perché è in un giorno come questo che viviamo tutte le nostre contraddizioni.
E sarebbe il giorno ideale per praticare l’accettazione e poter dire: questo sono io.