Scrivere il dolore

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Le parole che fanno andare avanti

Stella entra in aula in ritardo, le faccio spazio vicino a me. Capisco immediatamente che c’è qualcosa che non va. Ha l’aria sconvolta e gli occhi gonfi. Una parte di me avrebbe voglia di chiederle cosa sia accaduto, l’altra si sforza di rispettare i suoi tempi e di non forzarla. Cerco di comunicarle la mia presenza senza usare le parole, con l’ascolto attivo e con la postura e poi mi affido al ruolo contenitivo e di cura del gruppo. Scriviamo sul tema della relazione con il nostro corpo, Stella scrive con noi e lascia scorrere le lacrime, io mi avvicino e qualcuno nel gruppo fa lo stesso. Non ci sono parole esplicite né richieste, piuttosto un abbraccio collettivo che scalda e accoglie. Stella chiede di leggere la sua scrittura finale e ci sono parole di gratitudine per questa vicinanza silenziosa.

 

–       Mio marito è molto malato, non ci hanno lasciato molte speranze. Nel giro di un mese la mia vita è cambiata completamente. Ho deciso di continuare a venire perché qui sto bene, posso attraversare le emozioni senza essere giudicata.

–       Grazie Stella, apprezzo molto il fatto che sei qui, che sei testimone di questo tuo dolore e che hai deciso di raccontarti con autenticità.

–       Anche io ti ringrazio e sono riconoscente al gruppo per avermi lasciata libera di dire e di non dire. Ciò che mi pesa moltissimo è dover riportare ai familiari e ai conoscenti aggiornati bollettini medici sulle condizioni di mio marito.

Il fatto che Stella abbia scelto di condividere il suo dolore nel gruppo di scrittura ha una grande importanza. Significa dare valore al contesto e riconoscere ai singoli partecipanti la capacità di comprendere e di contenere. La nostra cultura ha escluso i temi della malattia e della morte, li ha relegati dietro alle porte chiuse degli ospedali, come se questo potesse lenire il nostro dolore o aiutarci a sopportare l’angoscia. La scrittura nasce sempre dall’ombra e può essere utile per affrontare i momenti più difficili. Consiglio a lei e al resto del gruppo – chi infatti non si è trovato o non si troverà in una situazione simile? – di usarla come compagna muta e fidata. Non può guarire, ma già il fatto di avere uno spazio per parlarne in modo autentico è una cura: può regalare qualche istante di sollievo, può essere una forma di riparazione a quello squarcio all’identità che la malattia, propria o di una persona amata, può causare. E poi c’è il gruppo: possiamo dar prova di fratellanza, stendere intorno a Stella una rete di ascolto e di accoglienza. Chiedo ai partecipanti di scrivere un messaggio per lei e di consegnarglielo. Non possiamo fare nulla per cambiare ciò che è accaduto a lei e al suo compagno, ma possiamo fare qualcosa per accompagnare questo loro difficile cammino.

Stella è molto commossa, ma sorride mentre riceve da tutti: messaggi di sostegno, dice che li conserverà con cura, la faranno sentire meno sola.

I mesi passano e il compagno di Stella muore in una notte d’estate. So che alcune persone le si sono avvicinate e Stella, nonostante le difficoltà di questo periodo, si è lasciata consolare.

La ritrovo quando ricomincia il nuovo ciclo di laboratori e riconosco il suo dolore ma anche il suo coraggio, la forza e la determinazione che la definiscono. Questo è quello che ha scritto e condiviso con noi.

–       Mi sono iscritta ancora, quest’anno, anche se già il titolo del tema mi faceva tremare le gambe. In questo periodo, mastico piano i miei giorni insapori, cercando di non sentir male… Poi la forza di andare avanti, di non farmi travolgere mi ha convinta: con lo sguardo vacillante e liquido e i pensieri confusi, mi sono aggrappata alle vostre parole, alle vostre emozioni, ai vostri dolori… Per questo e per molto altro, ancora siete importanti per me: trainata dai vostri racconti, coinvolta dalle vostre scritture, portatemi via: assaggerò il cibo di questo tavolo, forse gustando di nuovo la vita

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