Lo Spazio oltre il muro

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Ogni paziente inizia la seduta raccontando del suo ” muro”. Il muro che sente dentro, per qualcosa che lo ha ferito e non riesce ad accettare o a perdonare, la ferita per un muro che gli è  stato messo come limite o rifiuto, la sofferenza per i muri che vuole tenere in piedi , il muro del pianto per una grande delusione, le situazioni di vita che vive come muri di un carcere dal quale non riesce ad evadere, i muri che vorrebbe avere per proteggersi e tutelarsi o a cui appoggiarsi e così via. Inevitabilmente il suo muro risuona con uno dei miei, così anche io, nel lavoro di rispecchiamento empatico, sono invitata a mettere mano a me e ai miei scenari interiori per offrire una presenza reale ed autentica in cui il paziente senta di potersi lasciare andare, quando anche io sto nel silenzio. Questo sfondo relazionale accompagna il lavoro del paziente in seduta permettendogli  di creare  e di #farespazio, quello spazio che può integrare il muro e renderlo relativo. Lo sguardo  riesce così a volgersi al tutto e a scorgere la vastità delle possibilità e dei paesaggi interiori che l’esperienza del “muro”  consente, grazie proprio all’attraversamento di tutto ciò che ” fa muro” dentro di sé. La terapia insegna ad accogliere e per me è un grande privilegio imparare ogni volta, di colloquio in colloquio ,a creare spazio anche dentro di me insieme al mio paziente. Paesaggi come in questa foto non sono esperienze insolite, soprattutto quando diventano immagini condivise, da contemplare insieme al termine del lavoro di terapia.

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