Il potere della rivelazione intima

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Una volta un paziente in un momento di scoramento mi ha chiesto: “A che scopo diventare consapevoli di noi stessi? Insomma tutto questo lavoro è faticoso. Fermarmi ad ascoltare le mie sensazioni, percepire un nodo alla gola e una stretta al cuore, resistere alle lacrime e poi provare un’altra emozione ancora…è faticoso!”.

Quando andai per la prima volta da uno psicologo avevo poco più di vent’anni e pensavo che l’obiettivo della terapia era farmi diventare perfetta. Avrei capito tutto su di me e sugli altri e avrei smesso di soffrire. Negli anni ho scoperto che quest’aspettativa è molto frequente e per niente strana.

In questa puntata di Grey’s Anatomy il protagonista di questo breve frammento si approccia per la prima volta alla psicoterapia definendola qualcosa di molto vicino al woodoo….che però funziona.
In che senso funziona?

Se dovessi dare una risposta slogan direi che funziona perché il premio finale di tutta la fatica di attraversare il nostro dolore è di aumentare la nostra libertà.

La libertà di essere che proviene dall’aver preso la responsabilità di attraversare il nostro sentire per disvelarci a noi stessi prima e poi con gli altri.

In questo breve frammento il medico, avendo scoperto l’origine della sua paura ad amare in terapia, può tornare dalla donna che ha ferito e parlare a cuore aperto.

Quando attraverso il lavoro terapeutico diventiamo consapevoli da cosa ci stiamo difendendo ci accorgiamo di quanto il dolore e la paura hanno potere sulle nostre vite. E’ come se non fossimo padroni a casa nostra. Nel senso che in difesa di questo dolore non metabolizzato abbiamo delle risposte automatiche. Voi salireste su un aereo il cui pilota automatico non può essere disinnescato e stabilisce la rotta con l’unico scopo di evitare di avere paura o di soffrire?

Sappiate che è quello che più o meno facciamo tutti quando ci mettiamo in una relazione!

Tra le risposte automatiche più usate ci sono la proiezione e la colpevolizzazione.

Nel primo caso diamo definizioni eccessivamente negative o eccessivamente positive che dovrebbero appartenere a noi, nel secondo diamo la responsabilità di ciò che ci fa male all’altro.

In questo modo ci appendiamo all’altro in un’eterna richiesta di cambiamento che recita: “solo se tu cambierai io potrò stare meglio”. Nel caso di questo spezzone l’uomo aveva dato la responsabilità della fine del rapporto alla donna perché ritenuta “Non in grado di amare”.

Sappiamo che “dio li fa e poi li accoppia” – anche se secondo me lo abbiamo travisato perché l’espressione più corretta sarebbe “dio si fa e poi li accoppia” – nel senso che puntualmente il dolore dell’uno si incastra a perfezione con il dolore dell’altro. Le ferite come diceva Jung sembrano guidare le nostre scelte amorose.

Così la proiezione “tu non sei in grado di amare”, che è totalizzante perché esprime un concetto generale e non riferito a quella relazione, piove sul bagnato della già bassa autostima del partner che finisce per crederci.

La lotta per dimostrare all’altro che si è in grado di amarlo è la spinta malefica alla base di tutte le dipendenze affettive. Un processo così auto ed etero distruttivo che può culminare in omicidi, come tristemente sappiamo.

In questo breve pezzettino il regista ci mostra come questo macchinario mortifero viene disinnescato.

Ed il disinnesto avviene grazie alla scelta di uno dei due di rivolgere l’attenzione su di sé, di farsi carico del proprio dolore e di portare ciò che ha compreso attraverso una rivelazione. Cioè donandosi, offrendo qualcosa di molto intimo all’altro sopportando la paura che ciò gli comporta.

Uno dei temi centrali nelle relazioni di coppia è l’avarizia di sé. Nel campo di battaglia delle relazioni intime si ingenerano meccanismi difensivi per cui ci si protegge dalla paura di essere feriti chiudendosi all’altro, non portando sé stessi. Lo scambio si riduce sempre più fino a ridursi a scambi di servizio sia sul piano verbale che sessuale.

Non solo incanta vedere questa coppia ritrovare connessione sul piano umano ma soprattutto, se per un attimo ci chiediamo come ci fa sentire questo tipo di interazione, scopriamo che essere testimoni del processo di recupero profondo di un rapporto di amorevolezza e compassione tra di loro e verso sé stessi ha un piccolo impatto persino su di noi che ci sentiamo contaminati piacevolmente da questo clima di apertura. Notate il respiro. Anche il nostro si è rilassato e si è fatto più ampio.

E’ la posizione di Okness, il “tu sei Ok ed io sono Ok” alla base di un approccio teorico che si chiama Analisi Transazionale.

Questa è una coppia che ha deciso di non restare insieme ed un passaggio di questo tipo permette una buona conclusione, laddove non è tanto una questione di perdonare l’altro, ma di accettare che le cose siano andate come siano andate e sentire gratitudine perché quel pezzo di strada insieme che ha permesso di vedere parti di loro stessi ora che sono accolte possono permettere di fiorire in altre successive relazioni.

Ci si lascia avendo in primis accettato la persona che siamo e accettando la persona che è il nostro partner.

Un po’ come si faceva da piccoli quando dopo un litigio ci riprendevamo i nostri giochi, questa coppia si prende il proprio cinquanta percento di responsabilità nell’aver dato il proprio contributo al gioco amoroso che si è giocato. E quando ciò avviene non si avverte un fallimento ma un successo.
Si perché successo è il participio passato del verbo succedere: è un avanzamento rendersi conto che grazie a quella relazione siamo cresciuti, abbiamo incontrato parti di noi. Io credo che a questo ci spinge l’eros, che è il principio di vita che anima il creato.

I momenti di disvelamento sono tra gli eventi più potenti e al tempo stesso meravigliosi che possiamo donare o ricevere nella vita.

Il regista in questi pochi minuti si sposta dall’uomo e si concentra sulla donna, che partita con la lancia in resta, depone le armi, si arrende e si accuccia mansueta disposta ad accogliere l’amore ed il riconoscimento che quell’ex fidanzato le offre.

Si lascia guarire dall’amore che ora quest’uomo sta provando per se stesso. Perché si è a sua volta autorizzato a lasciarsi avvicinare e curare dal suo terapeuta.

La protagonista col suo copione di donna-incapace-di-amare grazie a questa esperienza dall’alto valore riparativo può ora iniziare a smettere di credere a questa convinzione negativa che compulsivamente confermava cercando rapporti con uomini che non l’amavano.

Fico, no?

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