Il permesso di arrabbiarsi: un ponte verso la vitalità - Divenire Magazine

Il permesso di arrabbiarsi: un ponte verso la vitalità.

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Fate della vostra rabbia un ponte, per passar oltre alla vostra impotenza.
Ma fate attenzione: che al di là del ponte non vi siano solo fiamme, 
macerie e cenere.
E quando la rabbia scompare, quando siete liberi anche dal risentimento,
allora si faccia festa, perché la vita vi chiama alla gioia e alla leggerezza.

 

​​​​​​​​​​​​Friederich das Gupta 

Oggi Lucia entra nello studio con un profondo senso di vuoto, il suo corpo è appesantito, come se dovesse trasportare un carico, il viso pallido quasi inespressivo, lo sguardo basso e la voce sommessa.

Non è la prima volta che porta questa energia, ma oggi la sento così imponente da nascondere la luce del sole che entrava, fino a poco prima, nella stanza, decisa e rispettosa allo stesso tempo.

“Cosa succede?”, le chiedo.

Lucia alza appena appena lo sguardo e mi dice “Sto male, sento un grande senso di vuoto e di immobilità”.

Tutta questa sofferenza e la fatica arrivano anche sulle mie spalle e nella mia pancia, le restituisco quanto sento e il dispiacere per questa sua condizione.

Domando a Lucia se sente che questo suo malessere sia collegato a quanto abbiamo iniziato a esplorare la volta scorsa in merito a uno dei suoi figli, quello che sente più fragile. Con coraggio e non poco giudizio su di sé e su di sé come madre, accetta la fatica di accogliere le fragilità di questo figlio che vive come “imperfetto” e di cui percepisce poche risorse. Inizia immediatamente a raccontarmi un episodio in cui si è arrabbiata perché suo figlio si è messo in una situazione di vulnerabilità e di quanto ciò lo abbia esposto al giudizio.

Sul volto di Lucia si manifesta una grande sofferenza, le domando se abbia percepito lo stesso vissuto di frustrazione e di umiliazione nel figlio ma, immediatamente diventa palese che la sofferenza e la paura dell’umiliazione sono sue: è la vergogna che spesso ha provato durante l’infanzia e che la portava a chiudersi, a non muoversi e il corpo restava immobile, esattamente come è adesso.

“Io mi sono impedita molte cose nella mia vita per la paura di essere giudicata e questo mi fa tanto arrabbiare!”

Comprendo la sensazione di Lucia e le faccio notare che forse non è arrabbiata con suo figlio, ma è lei stessa che prova rabbia per ciò che ha vissuto, o meglio, per ciò che non si è data il permesso di vivere.  Per questo, la invito a ritornare sull’immagine di suo figlio che si concede la possibilità di sperimentare attraverso i suoi limiti e le sue risorse e che, forse, non sperimenta il senso del giudizio e di vergogna che vive lei. Sul suo volto compare un timido sorriso, una piccola commozione per iniziare a intravedere, in tutta quella fragilità, anche una possibilità e una risorsa. Ora può lasciar andare l’immagine di suo figlio e portare il focus su di sé.

Molto spesso i nostri figli muovono dentro di noi emozioni e vissuti di cui a volte non siamo consapevoli e non sappiamo se ciò che sentiamo e sperimentiamo sia qualcosa che appartiene a noi o a loro. Fare chiarezza su chi e di cosa stiamo parlando, aiuta già a dipanare la confusione e la fusione che a volte si crea e che, erroneamente, ci può portare a caricare l’altro di vissuti che non sono suoi.

Conduco quindi Lucia in un’esplorazione dei suoi ricordi, “Sento che un senso di vergogna e di umiliazione ti bloccano, questo ti fa venire in mente qualcosa? Quando ricordi di esserti sentita così per la prima volta?”, le chiedo.

Lucia alza lo sguardo e mi dice “La sensazione ce l’ho chiara nel corpo, la sento addosso ma non ricordo…Sono certa però di averla vissuta”.

Il corpo come sappiamo è un grande veicolo di verità, ci fornisce numerose e preziose informazioni su di noi, sulla nostra storia, ascoltarlo e credergli ci aiuta a orientarci nel nostro percorso.

“Lucia, il senso di umiliazione lo percepisco nella tua postura, anche in questo momento, il corpo e’ ripiegato su di sé, lo sguardo basso, le spalle un po’ curve, come se volessi sprofondare, proprio come quando si dice ‘sto sprofondando’ per la vergogna”.

Lucia alza lo sguardo, la invito a sperimentare e a esplorare ancora un po’ di più con il corpo questa sensazione e, immediatamente, un ricordo affiora. Se infatti concediamo al nostro corpo la fiducia in quello che sente, se impariamo ad attendere i suoi tempi e ad accogliere senza giudizio ciò che emerge, esso ci dona ogni volta un pezzo della sua saggezza. Il corpo, se lo ascoltiamo e glielo permettiamo, è molto eloquente ed è capace di raccontare pezzi significativi di noi.

Inizia a raccontarmi di quando era piccola, aveva sei anni e si è sentita profondamente sola di fronte agli altri componenti della sua famiglia che la “prendevano in giro”.

“Perché tutti hanno riso di me in quel momento? Mi sono sentita sola, a disagio, come se io non fossi degna di essere amata e mi sono tanto vergognata, così in quel momento mi sono immobilizzata!”. Mentre racconta di questo episodio, riemergono tanti altri momenti della sua vita in cui ha vissuto il timore di esporsi e in cui il senso di vergogna la dominava. Ancora oggi queste sensazioni sono molto presenti nella sua vita.

Insieme alla tristezza di quel momento, compare anche la rabbia nei confronti di quelli che l’hanno fatta sentire inadeguata ma l’energia, di nuovo come allora, implode, in una forma di rassegnazione e di umiliazione. Lucia si blocca durante il racconto, è ancora là, nel medesimo punto, come quando aveva sei anni. Affonda ancora di più nella poltrona ma, questa volta, voglio provare a offrirle una nuova possibilità. Per questo, la invito ad alzarsi, lei non ne ha molta voglia perché il suo corpo è appesantito e non vorrebbe muoversi ma, allo stesso tempo, sente il desiderio di uscire da quella difesa che tanto le è servita allora, quanto ora la tiene incastrata nella mortificazione di una parte di sé..

Mi infilo in questo piccolo spiraglio e le chiedo, di nuovo, di alzarsi, di radicarsi bene sulle gambe e sui piedi e di permettersi di esprimere la rabbia battendo i pugni sul cilindro, uno strumento che viene spesso usato in Analisi Bioenergetica, per tornare all’emozione della rabbia ed esprimerla. Le sue braccia inizialmente sono senza energia, battono con fatica ma, quando inizia a seguire il suo corpo, lasciando fuori il giudizio e concedendosi la possibilità di dargli voce e di sentire ciò che succede, seguendo l’energia che si sta sviluppando, finalmente Lucia inizia a picchiare più forte, sempre più forte, e dalla sua bocca esce con rabbia “Perché? Perché? Perché? Perché?”.

Ecco che anche le braccia prendono vita e Lucia può esprimere tutta la sua rabbia! Quando il movimento si esaurisce e Lucia può sentirsi bene integrata nel suo corpo, il suo sguardo si alza e io finalmente incontro la sua vitalità e il suo sorriso. Anche nel mio corpo scorre energia e risuona il suo vigore.

“Ho cercato tutta la vita di essere amata e sento che questo mi ha incastrata e bloccata tante volte, sarebbe bastato poco, un po’ più di amore e di considerazione mi avrebbero aiutata”, la guardo e le faccio notare che non tutto è perduto.

Spesso quando la rabbia resta intrappolata perché non trova una possibilità di espressione o perché ci viene negato il diritto di esprimerla, prende altre forme e manifestazioni che arrivano quasi sempre a boicottarci. Permettere a noi stessi di esprimere la rabbia consente all’energia intrappolata di fluire e di essere canalizzata in maniera più naturale e costruttiva. Questo ci restituisce vitalità, possibilità e integrazione.

Il fatto che oggi Lucia si sia data la possibilità di affermarsi e di esprimere la propria vitalità, senza giudizio, contribuirà a restituirle l’amore verso se stessa, la gioia e il senso dell’esserci. Questo acquisterà valore anche per i suoi figli che potranno permettersi di provare, di fare e di crescere, sentendo il suo sostegno, la sua vicinanza e l’accettazione.

“Ora posso finalmente vedere con commozione le risorse di mio figlio e questo mi permette di sentire sempre di più anche le mie”, così conclude, commossa, Lucia e io insieme a lei.