Il laboratorio della speranza è la perseveranza perché è impossibile sperare in un mondo migliore senza che si lavori per esso.
(Salvatore Natoli, “Perseveranza”)
Durante la quarantena, ho continuato a condurre i gruppi di scrittura iniziati prima dell’emergenza covid. Il fatto di esserci dovuti incontrare su una piattaforma on line, ha creato qualche resistenza e alcuni problemi tecnici ma, una volta superati, la scrittura è arrivata copiosa ed è stata d’aiuto non solo per comprendere e dare un nome ai propri stati d’animo, ma anche per provare a rielaborare le esperienze individuali e a trasformarle in una memoria collettiva, sempre più coscienti dell’eco globale di ciò che stava accadendo.
Tra i molti spunti di scrittura affidati, ho guidato il gruppo a rintracciare le parole che con più frequenza affioravano, ne ho fatto un primo elenco e le ho abbinate casualmente ai partecipanti, invitandoli a riflettere su quella parola, a riscoprirne il significato e poi a provare a scrivere qualcosa su quella parola, lavorando per analogia o per contrasto e partendo dalle proprie esperienze.
Ne è emerso un toccante “alfabeto della perseveranza” – così l’abbiamo chiamato, individuando nella perseveranza una virtù necessaria per questo tempo incerto e per continuare a coltivare la speranza . È una preziosa testimonianza della ricchezza delle riflessioni e delle esperienze condivise che ha contribuito a creare un senso ancora più profondo di appartenenza e di intimità a cui ognuno poteva accedere anche nel chiuso della propria casa per sentirsi meno solo e compreso.
A qualcuno potrà, forse, sembrare un esercizio futile e celebrativo ma credo sia importante fare tesoro di quella profondità di pensiero e farne memoria perché, come mi ha scritto una partecipante ci sono tante persone che silenziosamente provano a tenersi stretto quanto di buono è emerso durante le difficoltà vissute in piena pandemia – e – Sarebbe un peccato se questi pensieri, i sogni e le speranze andassero perdute, credendo di essere soli in questo vortice di ripresa.
Per questi motivi, condivido questo elenco, forse qualcuno potrà ritrovarsi e aggiungere nuove parole al suo personale lessico della quarantena e ringrazio tutti gli “scrittori per diletto” che hanno contributo a comporre questo lessico.
CENTRALE
“Centrale”: che sta al centro.
Abbiamo sempre temuto ciò che è più grande e più potente di noi, ma ora le logiche dell’intera umanità sono state completamente sovvertite da un organismo incredibilmente piccolo! Questa volta la battaglia più cruenta si combatte dentro di noi: un virus microscopico è riuscito a riallineare tutti i pianeti della nostra complessa esistenza, e l’essenziale è divenuto centrale.
Siamo stati ricondotti al centro di ogni cosa: al centro delle nostre case, delle nostre scelte, delle nostre inquietudini, delle nostre relazioni, al centro del nostro “io” con il quale siamo dovuti tornare a fare i conti.
Mai come ora siamo stati obbligati a sfoltire i rami secchi dell’apparenza e dal centro del nostro “io” l’anima ci ha lanciato i suoi disperati appelli.
La quarantena sta per concludersi: qualcuno si riadagerà nella tanto agognata frenesia, altri invece non potranno sottrarsi al prepotente richiamo delle proprie voci interiori che reclamano l’umana necessità di vivere a pieno una vita più centrata su chi siamo veramente.
COMPASSIONE
La grande domanda è: cosa vuol dire compassione? Non so più l’italiano. “Com-Passione”. Alle scuole medie, l’insegnante di italiano aveva la passione per l’etimologia. Si capisce il significato di tutto con l’etimologia, diceva. “Com” è insieme, poi “passione”. Ma passione di chi? Mia? Dell’insegnante? Devo forse appassionarmi all’etimologia? Oppure la passione di Cristo, visto che la Pasqua 2020 è appena passata?
Mio padre esortava a mangiare pesce il venerdì, a chiamare i parenti il sabato, a sorridere riposato la domenica e a rinfacciarmi gli anni da chierichetto quando gli chiedevo: “ma il sabato prima di Pasqua, che succede?”
L’etimologia non funziona per parlare di compassione. La Pasqua nemmeno, perché oggi le spine in testa non le sento, d’altronde è successo venerdì o sabato scorso. Allora che vuol dire compassione?
Il sabato prima di Pasqua, sono in fila per comprare il pane. C’è il seguente schieramento: un signore di circa quarant’anni, tarchiato, pantaloni rifrangenti e scarpe antinfortunistica, un esile settantenne vestito di tutto punto che mi ricorda mio nonno, buon’anima, io, che beh sono io, mi guardo intorno ondeggiando la testa a tempo di musica e un ragazzo che ha fatto della tuta la sua nuova pelle e nasconde gli occhi sotto un berretto.
Tornando a casa in bicicletta, passa un muratore, guarda il quarantenne, sposta la mascherina: “Sono stufo. Questa quarantena quando finisce?”. Il collega risponde: “Eh… a saperlo”.
Niente etimologia. La compassione si palesa e vive sul sorriso di tutta la fila.
CONFINE
PRIMA
CONOSCEVAMO i confini naturali della nostra regione, della nostra provincia e della nostra città.
CONOSCEVAMO i confini politici del nostro Paese, e gli Stati confinanti, in cui peraltro ci si poteva recare facilmente.
NON CONOSCEVAMO
(e non potevamo nemmeno immaginarci)
i confini imposti da altri, seppure per il nostro bene.
Abbiamo sempre goduto della massima libertà democratica,
lasciataci in dono dagli italiani che avevano combattuto per essa.
Non potevamo lontanamente immaginare che il CONFINE
entro cui saremmo stati sarebbe stata la nostra stessa CASA.
ADESSO
È un CONFINE, un limite…
rassicurante e accogliente
tranquillizzante e riparativo
caldo, ma quasi soffocante
circoscritto, ma – alla lunga – intollerabile
È un CONFINE di muri, in una casa peraltro amata
È un CONFINE di alberi alti e di verde, su un terrazzo tanto curato
È un CONFINE di testa e di cuore, in cui stanno timori, paure e sconforto, i quali agiscono in noi obbligandoci a stare da soli e lontani gli uni dagli altri, guardando con sospetto L’ALTRO da noi
È un confine di stasi, di transizione, di separazione, d’isolamento, di riflessione, di presa di coscienza e consapevolezza, tra NOI e il FUORI DA NOI
È STATO un CONFINE autoimposto, a cui abbiamo ubbidito sconcertati, spaventati, perplessi, passivi, rabbiosi, distratti o fin troppo concentrati
MA ORA È UN CONFINE …
che viene finalmente oltrepassato, in modo ragionevole e senza rischi, contando i passi che ci portano un poco più lontano da casa.
IL CONFINE, dunque, s’allarga: ecco là le strade diritte che puntano a nord,
verso le nostre montagne, alla vastità dei campi coltivati, ai filari di pioppi,
alle rogge e alle frazioni antiche.
Il CONFINE è superato, così da riappropriarci di ciò che era ed è ancora:
-il cane bianco e nero ci riconosce e uggiola, contento
-l’orto è di nuovo coltivato e variopinto
-un cavallino scalpita vicino alla sua mamma
Ci sono farfalle, uccellini saettanti e rondini,
le fioriture e persino le erbacce, che son belle!
La natura è andata avanti anche senza di noi.
E noi, all’interno di essa, possiamo finalmente
allargare il CONFINE e…Respirare!
CORAGGIO
Ci vuole coraggio a dire: “da domani lavoro da casa”.
Ci vuole coraggio a lavorare in ospedale, dare la vita per i propri pazienti. Vedo il coraggio dietro a ogni mascherina, dentro a ogni finestra.
Ci vuole coraggio a uscire di casa, a stare dentro, ad agire, a fermarsi, a rinunciare, a vedere i propri cari, a ricominciare.
Ci vuole coraggio a sopportare i propri genitori ventiquattr’ore su ventiquattro, nella stessa casa, a risollevarne il morale quando necessario.
Ci vuole coraggio a rinunciare ad una stretta di mano, a farsi carico della spesa di tutta la famiglia. A cadere e a rialzarsi, a chiedere aiuto.
Ci vuole coraggio a decidere di non uscire dalla propria stanza, per tutelare chi vive con te. A prendere decisioni per i tuoi dipendenti, una cittadinanza intera, un’intera nazione.
E chi pensava di averlo tutto questo coraggio? Eppure…
CURA
Quante volte in questi giorni di emergenza covid ho sentito questa parola!
Era quasi sempre strettamente legata alla parola speranza: la speranza in una cura per questa malattia sconosciuta e la speranza disillusa per una cura che sembrava funzionare e che invece poi si rivelava inefficace.
Mi sono trovata a pensare che, forse, è stata la mancanza di cura per il dono più grande che ci è stato offerto, cioè la vita, che ci ha portato a questa disastrosa disfatta. Forse ne abbiamo fatto un uso improprio con l’intento di sfruttarla anziché amarla ed averne cura.
Spero che quello che stiamo vivendo oggi, ci aiuti a riflettere sulla cura che ognuno di noi dovrebbe iniziare a mettere in atto ogni giorno, la cura per tutto quello che abbiamo colpevolmente contribuito a far ammalare.
DIFFERENZE
Questa quarantena ha messo a nudo alcuni punti deboli della nostra società, amplificando disuguaglianze e ingiustizie e scoprendo differenze e lacune ancor meno sanabili.
I bambini di famiglie numerose o difficili si allontanano sempre più dal programma, dalle insegnanti, dalla classe. Devono essere rincorsi e incoraggiati. La povertà, forse prima malamente celata, esce allo scoperto con tutte le sue carenze: servono computer, una buona connessione, genitori presenti.
I dipendenti di grandi multinazionali vedono i loro benefit triplicati: smartworking come se piovesse, pc aziendale, pause caffè condivise. Chi invece lavora con responsabili irresponsabili e di mentalità retrograda, dopo alcuni giorni di smartworking si sente dire ‘ora però è il caso di rimettersi all’opera e tornare in ufficio, come se le ore lavorate da casa, che spesso si moltiplicano per assenza di altre attività, le avessi passate a giocare.
Purtroppo, non basterà il distanziamento sociale per sconfiggere queste differenze, ma sarà necessario un impegno partecipato, una rete solidale, mentalità flessibili e al passo coi tempi; tutti elementi di difficile innesto in una società che alla seconda settimana di ripartenza sta già correndo come una dannata, troppo impegnata a riconquistare il tempo perso. Che perso, in realtà, non lo è stato affatto.
FANTASIA
Nel dizionario della lingua italiana, la parola FANTASIA è la facoltà dello spirito di riprodurre o inventare immagini mentali, in parte o tutto, diverse dalla realtà.
È anche una bizzarria, un capriccio, una voglia. E “frutto di fantasia” è qualcosa priva di fondamento.
Fantasia è una parola, di solito, accostata ai bambini, come se, per gli adulti fosse meglio evitarla perché, appunto, infantile.
Nel dizionario della lingua italiana, la parola INFANTILE riporta ad atteggiamenti, atti o discorsi, che in un adulto rivelano mentalità e intelligenza poco sviluppata rispetto all’età, bambinesca.
Quindi la fantasia è un difetto?!
Osserviamo i bambini nei loro giochi spontanei, quando, con la fantasia, trasformano la realtà per creare luoghi e personaggi che permettono di vivere, in modo positivo, anche in situazioni difficili.
Noi adulti abbiamo dimenticato cos’è la fantasia, che utilizziamo, a volte, per abilità specifiche magari legate al mondo del lavoro.
Ma, in questo periodo, tutti noi abbiamo dovuto usare la fantasia per reinventarci o reinventare quella parte di vita che ci è stata temporaneamente tolta. Quindi riprendiamoci la nostra fantasia smarrita con la nostra infanzia. Costruiamo la casa che abbiamo sempre sognato e trasportiamola nel nostro luogo preferito. Riempiamola con le persone care della nostra vita, i libri letti o che vorremmo leggere, i viaggi che vorremmo fare, i nostri ricordi e attendiamo con serenità di tornare alla realtà.
FRAGILITÀ
FRAGILE: Che si rompe facilmente, delicato. Ciò che è fragile va dunque trattato con cura e attenzione onde evitare danni irreversibili.
In questo tempo sospeso, ciascuno di noi ha dovuto fare i conti con la propria fragilità e di conseguenza con la propria sopita umanità.
Se l’altro è fragile perché temerlo? Perché difendermi da lui?
La fragilità ha abbattuto barriere permettendo a ciascuno di sperimentarsi liberamente tra sentimenti dimenticati o nuovi.
FRAGILITA’: osservando bene questa parola, al suo interno scovo anche la parola agilità, quasi a volerci ricordare che, grazie alla fragilità, l’essere umano compie con più versatilità e leggerezza il suo viaggio alla riscoperta della propria ancestrale umanità.
GRATITUDINE
Sono grata della grande bellezza che c’è nel mondo. Non è una bellezza pura, immacolata, bianca; tuttavia è luminosa, frutto dell’amore che circola sempre e comunque.
In un film di Sorrentino uno dei suoi personaggi dice: “Io dovevo scegliere cosa valeva la pena raccontare: l’orrore o il desiderio. E ho scelto il desiderio, perché è quello che ci rende vivi.”
Anche io voglio raccontare il desiderio. Il mio desiderio. Desidero uscire di casa per andare a prendere un gelato dalla mia amica Marina. Desidero sdraiarmi al sole, in spiaggia, chiudere gli occhi e ascoltare il rumore del vento e delle urla dei bambini che giocano. Desidero mangiare un piatto di polenta taragna, così buona da scaldarti il cuore quando fa freddo. Desidero salire su un aereo per andare nel sud del mondo e diventare straniera per qualcuno, parlare portoghese imitando l’accento locale mentre in una favela mi offrono qualcosa di strano che non mi rifiuterò di assaggiare. Desidero prendere un treno, guardare la campagna che scorre fuori. Desidero essere così presa da un libro da non voler smettere di leggere e allo stesso tempo impormi di chiuderlo per evitare che la sua bellezza smetta troppo presto di essere con me. Desidero andare al bar, ordinare una bottiglia di rosso da dividere con le mie amiche, insieme a un piatto di formaggi mai provati prima. Desidero andare con Leo a mangiare una pizza, con dolce e birra naturalmente. Desidero camminare fino in paese la domenica mattina per guardare le strade animate, il chiacchiericcio delle persone, i bambini che giocano a calcio in oratorio dopo messa. Desidero l’estate, sempre, tutto l’anno, ogni giorno della mia vita. Il caldo. La compagnia.
Questa è la mia grande bellezza. Sono grata di averla riconosciuta e di poterla, un giorno, ritrovare.
INGIUSTIZIA
Già in passato, prima della pandemia, la maggior parte dei cittadini lamentavano una giustizia non giusta, una giustizia malata che spesso tutela i criminali ed i disonesti e non le vittime. L’azione fatta dal governo recentemente purtroppo lo conferma. Ha scarcerato, mafiosi e criminali pericolosi, esseri che hanno ucciso a sangue freddo persone, sciolto nell’acido bambini, e non si possono certamente definire “esseri umani”. Io, come molte persone, ci riteniamo offese e arrabbiate, mentre noi tutti eravamo chiusi in casa agli arresti domiciliari per rispetto delle regole e del prossimo, senza aver commesso nessuna azione illegale, i criminali erano liberi. Un’altra ferita profonda inferta a tutte le madri che hanno perso i loro figli e a tutti i cittadini che hanno perso i loro cari. Anche questo è successo in tempo di pandemia.
LIBERTÀ
La passeggiata quotidiana attorno al bosco, col vento, col sole, con l’aria pulita e frizzante del mattino
o con le ombre lunghe del tramonto; l’incontro sfuggente con gli scoiattoli curiosi o con i leprotti dalle code bianche e dalle orecchie lunghe; il tamburellare del picchio sulla corteccia, il canto ripetitivo del cuculo, l’erba sempre più verde e folta, il profumo del fieno tagliato, soffioni ovunque e stormire di foglie.
In questi giorni l’orologio non conta più niente e nella quarantena ho ritrovato la libertà.
LIMITE
Ci sono parecchi limiti, di questi tempi. I più ricorrenti sono: limitazione della libertà di movimento delle persone, di socializzazione, di contatto fisico e di funzioni che svolgevamo normalmente prima della pandemia. Il limite di sopportazione ad una condizione imposta e non scelta. Ho riflettuto spesso sul mio limite: la PAURA di ciò che non conosco, dell’ignoto, delle altezze, di non essere all’altezza della situazione, di non fare abbastanza, di perdere le mie capacità mentali, di perdere il mio desiderio di vivere. Tutte queste paure a volte prendono il sopravvento condizionando e bloccando l’azione. Dal mio vissuto e grazie al percorso di studio fatto, ho imparato a gestire alcune di queste paure, vivere nel presente, qui e ora, senza la pretesa di avere il controllo di ciò che è indipendente dalla mia volontà. Vivere senza paura, lasciarmi andare come le foglie al vento, lasciar scorrere la linfa vitale e superare il limite che mi sono imposta.
PAROLE
Parole che accarezzano, che feriscono
Parole che accolgono o che allontano
Parole di vita, parole di morte
Parole che inseguono ricordi
Parole che narrano storie
Parole che consolano e rigenerano
Parole che spiegano e insegnano
Parole che cantano canzoni
Parole che esprimono emozioni
Parole che raccontano sogni
PAROLE… un intreccio di lettere
Con solo ventuno lettere quante PAROLE!
PRESENZA
Questa parola penso che si abbini bene a quello che mi manca e a quello che desidero.
Mi manca la presenza di alcune persone a cui voglio bene: Katia, Angela, Michela, Sofia, Lucia, Silvia, Chiara, Tiziana, del dirigente, dei collaboratori scolastici, di Efrem, di Mario, di Tina e di altri colleghi
Mi mancano la vicinanza. l’incontro, il contatto, nello stesso posto, nello stesso momento.
Mi manca il contatto reale con i miei alunni
Mi manca la presenza di noi allieve di Burlesque del mercoledì
Mi manca tanto la presenza di altre persone nel qui ed ora.
Però dai, posso dire che sono “grata” al coronavirus che, visti tutti i Dpcm che si sono susseguiti, viviamo a casa nostra io e mio marito.
SCOPERTA
Potrei parlare di scoperte se una nuova saggezza mi avesse fatto trovare qualcosa di nuovo in questi giorni obbligati, ma in realtà ho ricevuto soprattutto conferma di quello che sono, di come funzionano le mie relazioni, di come gira in famiglia. Ho scoperto, ma già lo sapevo, che la solitudine e l’isolamento non mi pesano poi tanto e che, anzi, stare in casa, tornare a casa dopo rapide incursioni all’esterno, è recuperare un alveo protetto, di armonia ricreata, dove ritrovo lo stare sola con me stessa come la mia dimensione innata. Forse ho rinunciato ad una promettente carriera di suora di clausura, in uno di quei bei conventi antichi in cima ad un colle, con portici silenziosi intorno ad un chiostro ed un orto di erbe aromatiche e medicinali, raccoglimento e meditazione?
Prometto però che quando sarà finito l’isolamento mi darò ad una vita mondana sfrenata, per non assecondare troppo questa mia tendenza, perché ho bisogno del calore degli affetti e delle amicizie che nonostante tutto ho e forse questa è la scoperta più importante.
TEMPO
Quando la vita mi mette davanti ad una sfida, dopo tanti ripensamenti, dico sempre a me stessa questa frase: “non c’è più tempo per aver paura”.
Sentirmelo ripetere ad alta voce mi dà il coraggio necessario per affrontare quello che mi aspetta.
Me lo ripeto anche in questo periodo, vivendo con la paura che il destino possa portarmi via improvvisamente, togliendomi a quel tempo che finalmente ho imparato ad assaporare con uno spirito diverso.