Qualche volta il pensiero ci frega.
E ci pare drammatico, dato che, nella nostra cultura, diamo una primaria importanza a questa funzione.
Ci frega impallandosi, come un vecchio computer, e inizia a girare intorno allo stesso concetto in circoli viziosi che sembrano infiniti e da cui sembra impossibile uscirne. Come un criceto in una gabbia, che può correre solo nella ruota, facendo una gran fatica ma senza effettivamente spostarsi di un centimetro. Il pensiero è ricorsivo, corre in tondo senza reale spostamento.
Come possiamo uscirne? Quali sono le gabbie in cui il nostro pensiero è imprigionato?
Ognuno ha le sue, ovviamente, ma qualche via di fuga potrebbe essere comune.
Lowen, creatore dell’analisi bioenergetica, diceva che “La sola via d’uscita è verso il basso”. Giù, verso i piedi e la terra. O comunque sotto la testa, in cui localizziamo il pensiero, e verso il corpo. Se ci mettiamo in moto, per esempio facendo gli stessi pensieri per esempio camminando (o correndo, o nuotando), la ruota diventa una strada e il pensiero può diventare corsivo, o forse scorsivo: scorre, fluisce e si scioglie. Abbiamo eliminato le sbarre della gabbia. Spesso è una scelta che spetta a noi.
Seguendo il gioco di parole, poi, possiamo anche provare a far andare “verso il basso” parole e pensieri scrivendoli di getto, oggettivizzandoli su un foglio di carta: la carta, appunto, diventa una mappa in cui il pensiero è costretto a svolgersi e srotolarsi, senza rinchiudersi in se stesso in circoli viziosi.
Ho l’impressione che, quando da umani ci siamo elevati in posizione eretta, la testa abbia iniziato a convincersi (e convincerci) di essere il capo (e così infatti la chiamiamo). Ma senza il corpo che la sostiene, poco può fare. Torniamo dunque al corpo, e alla terra, verso il basso, per sfuggire a gabbie che spesso ci costruiamo noi stessi.